raffaele solaini
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Della parola “bamboccioni”, pronunciata ieri al Senato da Tommaso Padoa Schioppa, non mi piace solo il suffisso
“-oni”. Quando si dà un ceffone, è bene darlo deciso, senza infingimenti o paternalismi, assumendosene piena responsabilità. Dimostrando un rispetto che non umili e un tacito riconoscimento delle sofferenze che esso genera in chi è stato colpito, che non si sentirà compreso.

Purtroppo, il discorso politico ha perduto la capacità di trasmettere quella autorevolezza che consentirebbe alle volte di allungare una sberla. Continua a dire la propria volontà di comprendere e viene ascoltato ogni giorno di meno, a causa della sua impenetrabile sordità. Rivendica credibilità, ma rifugge dalle relative responsabilità. Le parole di Padoa Schioppa sono sembrate fuori luogo, ma erano solo fuori contesto, perché pronunciate all’interno di un’assise che non se le può permettere, e che è prontamente accorsa a sterilizzarne il senso.

A poco importa che Padoa Schioppa abbia detto una verità riconosciuta: l’età in cui le giovani generazioni escono di casa è, in Italia, più alta rispetto alla media dei paesi europei. Né che il suo discorso intendesse spiegare il valore di un provvedimento a favore dei giovani. La censura è comunque scattata immediata, perché, rompendo uno stile consolidato, egli ha compiuto un gesto fondativo, che, almeno nelle intenzioni, trasforma il linguaggio della politica. Solo un tecnico, forse, poteva farlo.

Il ceffone equivale al tradimento della fiducia originaria e salvifica, richiesta dagli elettori e sempre promessa dagli eletti, che rappresenta però una forma di manipolazione e di controllo. Impone quella ferita che, secondo James Hillman, risveglia il puer aeternus, il bamboccio, dalla calda quiete infantile. Obbliga a rinunciare al mito della comprensione senza condizioni, aprendo uno spazio conflittuale, solo all’interno del quale può instaurarsi una comunicazione efficace e un positivo rapporto politico. Quando le mie parole sono le vostre parole, non c’è più scambio.

Commentando le elezioni americane, il linguista James Lakoff ha notato come i discorsi dei Repubblicani e dei Democratici fossero rispettivamente dominati dalle metafore del “padre severo” e del “padre premuroso”. La destra nostrana sembra lontana dal modello statunitense. Era prevedibile, invece, che le critiche al padre severo Padoa Schioppa giungessero anche dal centrosinistra. Ricordo, però, che i manifesti elettorali dell’Ulivo prima maniera parlavano proprio di “giovani sicuri”, si rivolgevano alle nuove leve che avessero rinunciato allo status del “bamboccio”. Temo che, per non tradire gli elettori, i politici di centrosinistra stiano tradendo se stessi. Il che è anche peggio.

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(Affaritaliani.it, 05-10-2007)